Hjk Helsinki-Roma: missione tre punti nella prima finale

Non sembra servire neanche Mourinho per allentare questo processo che strozza la Roma tra miserie e nobiltà, tra demonio e santità: oggi da scudetto, domani non sei nulla. Nella gara a chi urla di più sono rappresentate tutte le voci, da chi invoca già la defenestrazione del gigante portoghese a chi al contrario ne sollecita il rafforzamento. Logico che in un contesto dialetticamente tanto degradato le voci di mezzo tendono a sparire. A livello teorico, scrive Daniele Lo Monaco, il mondo del calcio si è ormai da anni ridotto, anzi consegnato, a questa semplificazione: si cerca la notizia commestibile a tutti su cui scatenare il dibattito, che sia al ribasso o al rialzo non fa niente, non serve neanche che sia vera. Ciò che si combatte come la peste è l’equilibrio, prima dote invece ricercata da chi all’interno dei club vanta qualche ruolo di responsabilità. Così si finisce tutti nemici e tutti storditi nel dibattito inutile, senza capire, e senza spiegare, cosa c’è di buono e cosa c’è di migliorabile, tutto dentro un unico calderone: fuori si cerca solo l’iperbole, dentro solo la sterilizzazione. Così anche la sfida di stasera, decisiva ai fini della qualificazione almeno al playoff che poi darà il diritto di disputare la fase ad eliminazione diretta dell’Europa League, diventerà solo un’arma in mano ai fucilieri: vinci e scattano i fuochi d’artificio, perdi e arriva il plotone di esecuzione. 

La Roma è partita ieri pronta a sostenere un’altra sfida, la numero 16 della sua stagione (calcio d’inizio ore 21, telecronaca su Sky e su Dazn). In pratica è solo la prima di una lunga serie di finali: devi vincere oggi e con il Ludogorets all’ultima sfida per essere sicuro di arrivare al playoff da vincere per andare alla fase ad eliminazione diretta. Non si sa ancora bene quali superstiti potranno affrontare la partita, né le condizioni fisiche di quelli che giocheranno. Poche le indicazioni di ieri nella conferenza stampa nella pancia della Bolt Arena di Zalewski e Mourinho. Poi le chiacchiere lasceranno il posto al campo, sintetico per giunta. 

Farà freddino (dieci gradi), ma farà ancora caldo perché sono tanti i romanisti che hanno accompagnato la squadra anche questa volta. Loro sono il popolo dello stadio, profondamente diverso da quello delle chiacchiere sui social. Lì sugli spalti il pollice resta bello dritto e diretto verso l’alto. Lì Mourinho non si discute, si ama. E intanto la Roma cerca di fare il suo, ben sapendo che non parte favorita in nessuna delle competizioni che disputa quest’anno, e questa considerazione da una parte conforta e dall’altra terrorizza. Tra tutte le partite disputate fin qui, l’unica in cui ha conquistato dei punti superiori ai meriti effettivamente mostrati in campo è stata quella di Milano con l’Inter, ma con l’Atalanta, il Ludogorets e il Betis avrebbe meritato tanto di più. Per fortuna la partita di ritorno a Siviglia ha riaggiustato parzialmente le cose, nel senso che oggi la Roma è arbitra del proprio destino. Ma vincere e basta non è mai un’impresa facile, intanto perché stasera si rende omaggio ai rinnovati i campioni di Finlandia, che non giocano da 10 giorni (e l’ultima volta che lo hanno fatto si sono poi lasciati andare all’ebbrezza dei festeggiamenti per l’ennesimo scudetto), e poi perché anche loro si giocano qualcosa, l’ultimo residuo di possibilità di fare qualcos’altro di bello in questa stagione e dunque metteranno dentro il campo tutto quello che potranno, senza grosse responsabilità. Nella Roma inciderà sicuramente anche il momento un po’ complicato sia dal punto di vista psicologico sia dal punto di vista fisico che la squadra sta attraversando. Il confronto con il Napoli capolista della serie A e seria candidata allo scudetto finale non è stato impietoso, ma ha certo segnato una chiara differenza nelle estese potenzialità della rosa. Infine i direttori di gara: arbitro, assistenti, quarto uomo, Var e Avar sono tutti portoghesi. Con loro stavolta Mou potrà farsi capire.

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