Mourinho infuriato, non parla ma “telefona”

Da Paolo Tagliavento a Luca Pairetto. Dal venti febbraio del 2010, in pratica 12 anni fa esatti, Inter-Sampdoria finita 0 a 0 con i nerazzurri ridotti in 9 dopo le espulsioni di Samuel e Cordoba nel primo tempo, al 19 febbraio del 2022, Roma-Verona, ancora un pareggio ad alta tensione. Dal gesto delle manette, scrive Piero Torri, che fece il giro del mondo, a quello di ieri all’Olimpico del telefono che, per ora, pare ancora circoscritto al raccordo anulare, ma ci sembra difficile che non vada anche oltre i confini romani e romanisti. Dal clamore di allora, al silenzio del dopo partita di ieri con Mourinho, avrete capito che il protagonista non può che essere lui, che ha preferito disertare microfoni, taccuini, parole, tenendosi solo per se stesso pensieri che sicuramente non possono che essere vietati ai minori.

«Non parlo, me ne vado a casa», con queste parole pronunciate con il tono di chi aveva un diavolo per capello, il tecnico portoghese ha comunicato all’ufficio stampa giallorosso che non avrebbe comunicato (e non lo farà neppure domenica prossima visto che ci sembra scontata una giornata di squalifica). Conseguenza di 90 minuti vissuti in un crescendo di incazzature e su un costante orlo di una crisi di nervi, anzi meno di novanta minuti in campo perché, verso il tramonto della sfida, il signor Luca Pairetto gli aveva mostrato il cartellino rosso a conclusione di diversi alterchi che si erano succeduti nel corso della gara, con lo Special One sempre più infastidito dalla direzione arbitrale. Solo una volta arrivato a casa e aperto il computer, il portoghese attraverso 4 foto e alcune parole, ha voluto aggiungere qualcosa per far capire uno stato d’animo certamente non tranquillo. Nella prima foto si vede Mou con il pallone tra le mani e che scrive possesso palla. Nella seconda c’è sempre lui che calcia il pallone verso la tribuna dopo l’ennesima arrabbiatura nel corso della partita. Nella terza un’immagine della meravigliosa Curva Sud con il commento mourinhano che dice, «amo questo popolo e combatto per loro». Nella quarta la didascalia recita «è meglio che non parlo, a casa mi aspetta una buona cena, buona domenica».

La sintesi, ma molto sintesi, di un sabato in cui Mourinho è tornato Mourinho fino in fondo. Perché che non fosse contento della direzione arbitrale di Pairetto, è stato evidente sin dai primissimi minuti di gioco. Il nervosismo del portoghese probabilmente nel primo tempo è stato dilatato anche dalla prestazione della sua Roma che è meglio non definirla per non rischiare di essere volgari, comunque ci siamo capiti. Lo Special One aveva anche manifestato il suo disappunto quando un pallone uscito in fallo laterale, lo aveva preso e con un calcio scaraventato in tribuna Monte Mario, la prima firma inconfondibile di quello che stava pensando dei fischi arbitrali. Il nervosismo di Mou è gradualmente aumentato con il passare dei minuti, partendo dai rinvii rallentati di Montipò con Pairetto che non lo ha mai ammonito avvertendolo di un possibile cartellino giallo soltanto all’83imo minuto di gioco. Ma soprattutto l’incazzatura del portoghese ha valicato i confini dell’autocontrollo quando una, due, tre, cinque volte ha sentito il suono del fischietto di Pairetto per fermare la partita ogni volta che un giocatore del Verona rimaneva a terra. E infine lo Special One è esploso nel momento in cui ha visto il cartello dei minuti di recupero che recitava quattro minuti. Lì ha perso la testa. E in quel momento si è visto il portoghese che a bordo campo mimava il gesto di una telefonata.

Che voleva dire? Chissà se un giorno Mourinho ci spiegherà fino in fondo quello che intendeva comunicare all’arbitro. Per adesso si può escludere con ragionevole certezza che sia stato un invito a scambiarsi i numeri del telefono, tanto meno un’ordinazione per farsi portare una pizza da mangiare insieme nel dopo partita. Perché, allora, quel gesto? Noi proviamo a dare una risposta che, per carità, non ha la pretesa di voler essere quella giusta, ma che può avere contorni piuttosto verosimili. Ovvero: non sarà che quella telefonata face riferimento al papà di Luca Pairetto, Pierluigi, ex designatore arbitrale ai tempi di Calciopoli in cui fu coinvolto per una serie di telefonate con un certo Luciano Moggi? Ricordiamo che in quella vicenda papà Pairetto in sede sportiva fu condannato in terzo grado a due anni e sei mesi dal tribunale del Coni, mentre in sede penale al terzo grado di giudizio ci fu la prescrizione (ci fu anche un processo civile per danno d’immagine alla Federcalcio). Forse siamo stati eccessivamente maligni nel provare a dare i contorni di questa risposta. Ma se fosse, chi avrebbe telefonato a Pairetto junior? Di sicuro, nel caso, non è il maggiordomo.

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