Petrachi: “Resto un tifoso della Roma. Fonseca andava aiutato”

Torna a parlare Gianluca Petrachi. L’ex direttore sportivo della Roma è stato intervistato sul canale Twitch del portale Calciomercato.it, in cui ha parlato anche della sua passata esperienza in giallorosso. Queste le sue parole:

Vuoi ancora bene ai tifosi della Roma?
Io sono ancora un tifoso della Roma, ci sono diventato e non mi perdo una partita. Ci sono ancora dentro con tutte le scarpe.

C’è qualche tifoso che la rimpiange ancora…
Diciamo che le cose a volte si sentono e c’è tanta empatia. I tifosi hanno aspettato a concedersi, poi l’hanno fatto in maniera viscerale. Anche se la parentesi è stata breve, per quanto mi riguarda è stata intensa e ho cercato di dare il meglio di me stesso, per me era una battaglia da vincere. Oggi vedo anti ragazzi presi in quella sessione di mercato in cui c’erano veramente le macerie, sono state fatte delle operazioni importanti come Spinazzola, Veretout, Ibanez, Mancini, Smalling e Mkhitaryan, tutti giocatori che ora in squadra la fanno da padrone. È naturale che ci sia un pezzo di me. Per di più la tifoseria mi ha sempre colpito, non l’ho mai negato e non è una sviolinata, sono tutto tranne che un para***o.

È stato un freno il suo essere troppo schietto?
Ne parlavo qualche sera fa con mia moglie. Sicuramente la mia impulsività nel far capire al mio ex presidente quello che stavo facendo per il suo bene e per quello della Roma ha un po’ pesato… Se fossi stato un attimo più tranquillo e pacato sicuramente non ci sarebbe stato niente di tutto questo, forse avremmo avuto un confronto diverso. Ho fatto 10 anni pieni a Torino con un presidente difficile e un ambiente non facile, sono passato alla Roma con una coda di denunce e un periodo di grande stress, era una squadra nuova con un allenatore a cui dare supporto… C’erano tante situazioni, è normale che a un certo punto non vedere il supporto da parte della società ha fatto che sì che si arrivasse a un messaggio un po’ più piccante del dovuto. Però non rinnego nulla, mi dispiace che sia finita così ma in quel momento andava fatto un atto di forza, proprio per prendere quel potere necessario per lavorare in un certo modo e produrre qualcosa di importante. Anche perché il calcio deve essere sostenibile, non puoi incassare 100 e spendere 400, il mio ragionamento era proprio quello di portare dei giocatori giovani con delle qualità per creare qualcosa d’importante. Il percorso è stato fatto in un solo anno e pazienza, va bene così.

Si parla di operazioni sbagliate alla Roma, c’è qualcosa che rimpiange?
L’unico giocatore che non ha reso in relazione al costo del suo cartellino è stato Pau Lopez, pagato 18 milioni, non 30 come qualcuno sostiene. Però ho spostato e venduto più di 15 giocatori e ne sono arrivati altrettanti, ho spesso attorno agli 80 milioni prendendo 13 giocatori. Ci sta anche che qualcosa si possa sbagliare. Mi ricordo che ho fatto l’operazione di Kalinic in prestito secco, ho pagato soltanto un ingaggio di 2 milioni. Quest’operazione ha fatto storcere il naso a qualcuno, ma non ho speso 30 milioni e non gli ho dato un ingaggio di 5. Non ricordo di aver sbagliato altre operazioni esose. Anche quella di Diawara è contestualizzata anche alla partenza di Manolas, anche perché il calciomercato va visto a 360 gradi. Veretout pagato 16 milioni credo sia stata una cosa fatta bene, lo stesso Mancini…

Poi Pau Lopez è stato ceduto al Marsiglia quasi alla stessa cifra, lei ha preso Smalling gratis e c’è chi l’ha pagato tanto un anno dopo… Per lei è una piccola rivincita.
Credo che siano state fatte delle operazioni che erano anche in linea con quelli che erano i presupposti con cui mi aveva scelto la Roma: prendere giovani senza spendere moltissimo e prendere giocatori d’esperienza sui quali spendere tanto. Mi dispiace che adesso, ad esempio, Villar stia trovando poco spazio, ma credo che dovunque dovesse andare dimostrerà il suo valore, specie in un centrocampo a 3 come vertice basso.

Lo stesso Zappacosta, che a Roma si è fatto male.
Ci sono state anche situazioni poco fortunate, sicuramente penso di aver dato il meglio di me. Poi ci sta che qualcosa non venga bene, ma fa parte del gioco.

Sappiamo che Fonseca non era la sua prima scelta, c’è stato un momento in cui Conte poteva pensare all’ipotesi Roma?
Ne abbiamo parlato tante volte e preferisco non entrare nell’argomento. Secondo me Fonseca resta un buon allenatore. Avrebbe avuto bisogno di essere aiutato un po’, purtroppo con il mio addio non sono stato in grado di dargli una mano, anche a fargli acquisire un po’ d’esperienza. Consideriamo che comunque, a mio avviso, andava un filino sostenuto, però la sua Roma giocava bene, aveva un bel gioco e divertiva. Poi magari qualche imbarcata la si è presa ma non credo che la Roma di quegli anni fosse distante da quella attuale, forse aveva anche qualche punto in più. Era un allenatore che doveva fare il suo rodaggio e credo lo stesse facendo bene. Sostengo che la figura del direttore sportivo ‘di campo’ sia troppo importante, l’allenatore non può essere un ‘tuttologo’ ha bisogno di qualche consiglio. Serve qualcuno che ne contrasti la visione, che magari lo faccia ragionare. Penso che la figura del direttore sportivo sia molto importante sotto questo punto di vista, non solo per quello specifico del mercato.

Cosa ne pensa di Tiago Pinto? Le avrebbe fatto piacere avere a disposizione lo stesso suo budget?
Vi ho parlato prima dei giocatori presi da me con 80 milioni. Se in quel momento avessi avuto delle risorse in più sarebbe stato meglio, ma con i se e i ma non si va lontano. Credo che in quel momento alla Roma sia stato fatto il massimo. Andare a giudicare un collega non è mai corretto.

Tra i suoi affari c’è anche Pedro, l’avrebbe mai dato alla Lazio?.
Era un’operazione che avevo condotto prima del mio addio, poi ha firmato dopo il mio licenziamento. Lo volevamo tutti, credo che sia un giocatore molto forte, uno che può crearti sempre la superiorità numerica. Poi penso che anche lui abbia vissuto degli alti e bassi, però è un giocatore che mi piace, uno che appena ha il pallone sa sempre cosa fare.

Fonseca però non l’ha gestito bene.
Penso che in quel momento Fonseca sia andato un pochino in confusione con tutte quelle pressioni, è stato abbandonato un po’ a se stesso, anche lui ha detto che si è sentito solo. Conosciamo tutti l’ambiente di Roma, se non hai le spalle larghe rischi di fare un capitombolo. In quel momento è andato in difficoltà e tante cose gli sono sfuggite, anche la gestione dello spagnolo.

Qualche tifoso la invita in Curva… E’ mai venuto a vedere la Roma?
Di nascosto sono venuto a vedere la Roma, non all’Olimpico perché non era il caso ma in trasferta l’ho vista, mi sono camuffato ma sono andato a vederla.

I dissapori tra Fonseca e Dzeko si percepivano già nel suo primo anno?
Dzeko era molto sensibile, ci teneva veramente tanto e a posteriori posso confermarlo. A volte lui si lasciava quasi andare a qualche piccolo consiglio, forse detto in maniera sbagliata, ma era a fin di bene. L’allenatore ovviamente deve essere sempre quello che decide e che non si fa consigliare. C’è stata qualche piccola situazione, ripeto piccole cose perché sono due persone intelligenti, alla fine si sono chiariti. Tutti e due volevano che le cose andassero bene per la Roma, a volte ci sono delle sottigliezze che il giocatore vede e l’allenatore no. Poi Dzeko è uno che si fa sentire, non te la manda a dire.

Riuscì a prendere anche Veretout.
Veretout fu chiamato dal Milan, però alla fine ha scelto il progetto della Roma, si è sentito importante, l’ho chiamato e l’ho fatto parlare col mister, gli disse che poteva essere un punto di riferimento. Non solo lui, tanti ragazzi hanno seguito il nostro percorso nonostante fossero seguiti da altre squadre. Si era creato un bel gruppo e devo dire che Lorenzo Pellegrini era il capitano anche senza fascia all’epoca, ha esercitato il suo essere romano e romanista con molti ragazzi. Anche lui ha coinvolto qualche giocatore in Nazionale con qualche parolina. Avere un romano e romanista dentro sicuramente ti aiuta moltissimo.

Come mai Veretout adesso sta incontrando difficoltà?
Vorrei evitare il discorso tecnico, è giusto che l’allenatore la veda a suo modo. Resta il fatto che Veretout è un purosangue, devi lasciarlo un po’ a briglia sciolta. E’ uno che rompe gli argini, se lo lasci andare ha i tempi, si inserisce… Credo che magari un pochino stia patendo a livello tattico, ma questa è una mia considerazione. E’ un giocatore che va lasciato libero di spaziare. Più corre, più si trascina dietro gli avversari e li porta a passeggio. Metterlo solo a centrocampo a ‘mordere’ limita un po’ le sue qualità. Ma ribadisco, è una mia opinione personale.

Avrebbe acquistato Viña a quelle cifre? Visto l’infortunio di Spinazzola, chi avrebbe preso?
Sul suo sostituto non rispondo, non giudico il mercato fatto dal mio successore. Sicuramente l’infortunio di Spinazzola ha penalizzato moltissimo la Roma. E’ un giocatore nell’ultimo Europeo ha fatto la differenza, che ci hanno invidiato in tutta Europa. Pensate a quanto stia mancando alla Roma. Poi sulle scelte riguardo il suo sostituto preferisco non esprimermi.

Un nome che poteva essere allo stesso livello?
Forse avrei continuato sulla strada di puntare sui giovani e su pochi giocatori d’esperienza. Magari un classe ’99, 2000 o 2001, un’operazione alla Reynolds magari con un giocatore più pronto, uno che può essere una valida alternativa se chiamato in causa. Ma Calafiori in quel ruolo non mi dispiace, a volte è un po’ incerottato ma secondo me può essere una valida alternativa sulla fascia sinistra.

Riguardo l’ambiente, alla Roma è davvero impossibile vincere o è solo una favola? Con un progetto serio si può vincere?
Ci vogliono una serie di componenti. Faccio un esempio con Conte all’Inter, arrivò e fecero tutti quadrato attorno a lui, si sono allineati. Se ricordate bene Conte in un certo momento stava quasi dando di matto, fece esternazioni forti e scelte importanti, mettendo fuori dei giocatori, ma tutti l’hanno seguito. Sicuramente in un ambiente come quello della Roma ci vogliono un allenatore e un direttore sportivo di spessore, una presidenza che si affida ai primi due e un ambiente che sostiene sempre la squadra, che non cerca pretesti per inferire e darle addosso appena le cose vanno male. Per vincere serve la squadra, si può prendere anche il miglior allenatore ma se resta solo può fare poco o nulla. Ci vuole la squadra per vincere, più che il singolo.

Il suo futuro? Tornerebbe alla Roma?
Sono ancora fermo per scelta, ho respinto 3 offerte, due da club stranieri per esigenze familiari e da uno italiano, il cui progetto non mi convinceva. Con il Genoa non c’è mai stato nulla. Per il futuro vedremo, mi piace fare calcio e vorrei essere messo nelle condizioni di poter lavorare. Non importano blasone e categoria, faccio calcio con passione. Il Napoli? In quel periodo si è parlato di diverse situazioni ma ognuno è rimasto al proprio posto, non c’erano ruoli vacanti. Va detto che ora ci sono molte proprietà americane, guardate il caso più recente del Genoa. Forse bisogna anche far capire alle proprietà straniere che il campionato italiano non è facile, i numeri sono importanti e sono dei valori aggiunti, ma serve qualcuno che si prenda le responsabilità. Siamo stati sempre un po’ i maestri in tutto il mondo, pensare che oggi vengano in Italia a insegnare calcio la trovo una cosa un po’ bizzarra, ma il tempo è galantuomo.

Sabato c’è Atalanta-Roma. È vero che avrebbe voluto Gasperini alla Roma?
E’ un allenatore che stimo, i Percassi l’hanno blindato a ragione, sta facendo cose straordinarie. Non dimentichiamoci che prima di lui l’Atalanta lottava per la salvezza, le cose ormai sono cambiate. Parlo volentieri della mia passata esperienza alla Roma, non mi rattrista.

La causa con la Roma per il licenziamento?
L’ho vinta, penso che ora il club ricorrerà in appello ma ormai è acqua passata, bisogna andare avanti.

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