23 ottobre 1983: un “Ti Amo” diventato simbolo di Fede ed Appartenenza

Il 23 ottobre del 1983, la Roma di Niels Liedholm si appresta a scendere in campo nel primo derby col Tricolore in petto, dopo la vittoria dello Scudetto l’anno prima. Di fronte una Lazio speranzosa e poco più, perché contro quella Roma – che avrebbe di lì a pochi mesi giocato una Finale di Champions League – e più diffusamente contro l’amore del suo popolo, ci si poteva inchinare e poco altro.

Perché?! Perché sì. Perché ti amo e non me ne frega niente. Di eroi, di scudetti, di coppe, di titoloni, di vittorie. Io ti amo e basta, perché papà e nonno ti amavano ed io non ho saputo fare altro. Allora lo sai che faccio? Te lo dico. Anzi, te lo scrivo, grande come tutta la Curva Sud, che quando salta tremano i sampietrini e pure i palazzoni a Testaccio. In rosso, perché porca miseria mi fai ribaltare il sangue quando entri lì dentro. E quelli lì, gli “altri”, sono prigionieri del mondo loro e non lo sapranno mai che vuol dire stare di qua, ad aspettare che Sebino e Roberto facciano il loro e si vinca 2-0. Tanto, pure se non dovessimo vincere, alla fine, io Ti Amo e basta. No?!

Se avesse potuto prendere vita e parlare, a patto che non l’abbia fatto nell’immaginario collettivo, quello striscione (di novecento metri quadri) più o meno avrebbe detto questo a tutti i romanisti e non solo. Perché quel messaggio scritto a caratteri cubitali, ripreso anni dopo da molte tifoserie come professione indefessa di fede, nella sua semplicità dice profeticamente tutto su quello che il romanismo è stato, è al momento e sempre sarà. Un’infatuazione, un tranello, uno inganno scemo dove cadere e ricadere ogni anno. Con poche speranzetanti sogni, una marea di infortuni, il mezzo sospetto e la piccola soddisfazione.

Romanismo che le “vecchie generazioni” dovrebbero trasmettere in maniera Rugantina – senza preconcetti – ai lupi che verranno. Senza la boria di chi sa di aver visto cose forse irripetibili, col sentimento puro e sano del “Ti amo e basta”. Senza fazioni, come abbracciati tutti sotto uno stesso telo bianco; senza “romanisti 2.0” contro “vecchia scuola”, come troppo spesso sentiamo strombazzare in giro per l’etere.

Nell’anniversario di quel derby, che quella foto, conosciuta ad ogni latitudine del tifo DOC in giro per l’Europa (e non solo), sia il manifesto di quel che la Roma è nata per essere. La squadra di quelli che l’amano.

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