Zalewski: “Devo dimostrare molto per rimanere qui e dare il meglio di me”

Nicola Zalewski nella giornata di oggi ha parlato ai microfoni del club. In un podcast uscito su tutte le piattaforme, il giovane polacco di Tivoli ha ripercorso tutta la sua carriera fino ad oggi. Queste le sue parole.

Quest’anno, per la prima volta, farai il ritiro non da giovane aggregato ma da giocatore della prima squadra
“Sicuramente cambia qualcosa, ma devo dimostrare molto per rimanere qui e dare il meglio. Ma non mi sento un giocatore aggregato. Non ho iniziato a dare consigli ai giovani, sono ancora io il più piccolo”

Che ricordi hai di Poli, il paese vicino Tivoli in cui si erano trasferiti i tuoi dalla Polonia?
“Poli è un paese piccolissimo, di soli 3000 abitanti, ma i miei genitori mi hanno raccontato che sono stati accolti alla grande, lo stesso vale per me e mia sorella. Non parlo di ricordi perché vivo tuttora lì, non posso definirli ricordi. Ma sono felice di essere cresciuto lì, è un posto che mi ha aiutato molto. Il fatto che sono qui lo devo anche ai miei amici e alle persone che mi sono stato vicino”.

Te lo ricordi il tuo primo giorno a Trigoria?
“Ho ricordi vaghi, ricordo che conobbi Calafiori, e facemmo il provino insieme. Abbiamo fatto allenamenti normali, con ragazzi più grandi, del 2001, elle partitelle, e ci hanno preso tutti e due. Una cosa cotta e mangiata”.

Ci sono stati periodi in cui pensavi di essere fisicamente troppo piccolo, e che la cosa ti avrebbe limitato?
“Sì, ci sono stati dei periodi in cui ho pensato di essere troppo piccolo per giocare a grandi livelli. Ma ho avuto la fortuna di avere accanto persone che mi hanno sempre sostenuto e che mi hanno aiutato a non mollare mai: sono qui anche per questo”.

Oltre a Calafiori, con chi hai condiviso il tuo percorso?
“Edoardo Bove, che è arrivato un anno dopo, ma sono comunque dieci anni che giochiamo insieme. Andiamo molto d’accordo, e ci prendiamo molto in giro. Sicuramente più io lui che lui a me… Anche se lui è meno tranquillo di quanto possa sembrare”.

Cosa è cambiato, quando hai cominciato ad allenarti con la prima squadra?
“Ho sempre cercato di giocare come ho fatto sempre, dall’Under 15 fino alla Primavera. Ho sempre cercato di mettere da parte l’emozione e la tensione, anche se a volte non ci sono riuscito”.

Il gol contro lo United, poi considerato autogol di Telles…
“Nel dubbio me lo potevano dare… pure se secondo me finiva in Tribuna Tevere”.

Ti aspettavi di giocare?
“Sì. Ho cercato di farmi trovare pronto perché sapevo che poteva arrivare da un momento all’altro quel momento. Era un po’ che mi avvicinavo…”.

Sei tornato a casa contento?
“In parte sì. Diciamo che non mi ricordo l’emozione di quella sera”.

In quei giorni arriva l’annuncio di Mourinho. Che hai pensato?
“Che se mi avesse portato in ritiro, avrei potuto dare il meglio di me per giocarmi le mie carte. A noi il mister non ci ha mai mandato il messaggio che sei giovane non puoi giocare, e devi andare altrove per farti le ossa. Semplicemente ci ha detto che se restiamo qui è perché abbiamo del potenziale, e prima o poi sarebbe arrivato il momento da sfruttare al meglio. Alla fine non ci possiamo lamentare”.

A settembre 2021 sono successe tante cose importanti per te, come l’esordio in Nazionale, contro San Marino.
“Dico la verità, mi aspettavo di esordire: il ct Paulo Sousa mi disse che in quella partita avrei potuto giocare tranquillamente. Magari non era il massimo del livello, ma dovevo comunque dimostrare qualcosa e penso di esserci riuscito. Mi sono procurato un rigore, e ho fatto un assist: non per Lewandowski però, perché era già uscito. C’era tutta la mia famiglia, a san Marino era vicino, quando ricapita… E quando sono tornato a casa tutti complimenti e abbracci. Un bel regalo per mio padre, che già sapevamo che stava male”.

Poi, dopo qualche spezzone, c’è Roma-Verona. E quel giorno scopriamo che Zalewski può fare anche il terzino, o l’esterno. Ma tu lo sapevi?
“Sì e no. Il mister mi aveva detto di tenermi pronto a giocare in quel ruolo, ma non mi aspettavo di poter fare così. La volta dopo, a La Spezia, la mia prima da titolare”.

Poi una gran partita con l’Atalanta, e non esci più. Ti aspettavi una cosa così veloce?
“No”.

Sapevi di avere questa capacità di adattarti?
«Sicuramente nel corso degli anni, nelle giovanili, ho fatto più ruoli, dalla mezzala al trequartista, all’esterno d’attaco. Ma terzino sinistro non mi ci ero mai trovato».
Ti accorgevi di stare andando così bene?
“Sicuramente se ne accorgevano più gli altri, da fuori. Ma tornavo a casa, riguardavo la partita, il giorno dopo, e mi capitava di dire: “Anvedi, ho fatto pure questo…”. L’adrenalina c’è dopo la gara, ma mi addormento dopo dieci minuti”.

Sei esploso proprio nell’anno in cui la Roma ha ritrovato il suo pubblico.
“Ci ho pensato, ho avuto fortuna: a ogni partita c’era il pienone. Contro la Salernitana c’era lo stadio pieno contro una squadra virtualmente retrocessa…”

Tolta la finale, qualche immagine della tua Conference.
“Gli assist a Zaniolo contro il  Bodø e a Pellegrini contro il Leicester. Il secondo però è stato più bello, perché era più importante. La notte prima di Tirana ho dormito, ero tranquillo. Ma dopo proprio per niente….”.

Che rapporto hai con Lorenzo Pellegrini?
“È ottimo, è come un fratello maggiore, già da quando ero più piccolo e non stavo ancora in prima squadra. Ci conosciamo da tempo, anche perché abbiamo gli stessi procuratori”.

Ti è capitato di pensare che potresti giocare più avanti?
“Sicuramente è un ruolo dove posso giocare e dove ho giocato fino allo scorso anno. Se dovesse servire cercherò di dare sempre il massimo. Sempre rispettando le scelte del mister”.

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