Savorani: “Alisson era una macchina da guerra. Lasciate tranquillo Rui Patricio”.

L’ex allenatore dei portieri della Roma, Marco Savorani, è intervenuto sulle frequenze dell’emittente radiofonica Tele Radio Stereo ed ha anche parlato della sua esperienza in giallorosso:

Generalmente voi coach dei portieri non parlate quasi mai…
“All’interno di una società ci sono dinamiche e regole da rispettare, il nostro è un lavoro oscuro. I protagonisti sono i ragazzi che vanno in campo e mettono la faccia, devono stare davanti ai riflettori. È importante fare le cose bene, con onestà e lasciare sempre un buon ricordo”.

Lei lascia un bel ricordo ai ragazzi che sono passati alla Roma, spesso la nominano.
“Sono soddisfazioni veder crescere i talenti e i campioni messi a disposizioni dalle società e vederli migliorare in tutti gli aspetti del portiere, tecnici, tattici e anche comportamentali. Per chi fa questo mestiere è bellissimo, sono ricordi che porti dietro”.

Il riscaldamento pre-partita con lei è una vera e propria seduta d’allenamento.
“La vera scuola italiana di grande livello da un punto di vista tecnico si sia un po’ persa, si sono visti i risultati in termini negativi. Si è fatto un copia e incolla all’estero, si è tralasciata la tecnica di base, in cui in portieri italiani erano fortissimi. Si parla molto dell’attacco della palla, in cui gli italiani si sono distinti anche per il coraggio. L’uscita bassa, per esempio, è la massima esaltazione del portiere, che deve avere il coraggio di buttarsi sui piedi dell’attaccante. In Italia si è fatto un minestrone, si è passati anche a mettere in pratica la croce iberica, che è usata dagli stranieri ed è un atteggiamento passivo del portiere che cerca di farsi colpire stando fermo e aspettando. È forse un gesto tecnico per la pallamano o per il calcetto, in cui le porte sono più piccole. A mio giudizio il portiere deve essere molto più attivo, questo aspetto è stato cambiato nei portieri venuti alla Roma”.

Qual è la prima cosa che guarda in un portiere?
“Le posture delle mani, delle gambe e del corpo sono fondamentali. Molti portieri tendono a tenere le gambe aperte o saltare prima di un tiro. Va corretta e migliorata la pulizia del movimento. Poi la tecnica va conosciuta e poi insegnata con le giuste progressioni didattiche. L’allenamento non può essere caotico, in cui si riduce ad una sola spettacolarizzazione delle cose, ma è un momento in cui si curano i particolari e le impostazioni sbagliate. Secondo me bisogna tornare a insegnare la tecnica, che contraddistingueva la scuola italiana. Non insegniamo a parare, ma come parare. Il ruolo del preparatore dei portieri ha questo compito, deve essere un insegnante”.

Il preparatore tratta tutti i portieri in modo uguale?
“Bisogna trattare tutti alla stessa maniera, se vuoi rispetto devi darlo anche. Il requisito fondamentale è avere la sensibilità giusta nei momenti di difficoltà, dare il nostro apporto e osservare i ragazzi, i loro comportamenti anche nei confronti della stampa e dei social. I ragazzi ricevono pressioni da tutte le parti, a volte con commenti abbastanza sciocchi durante le interviste si attirano pressioni da soli. E poi la fermezza in allenamento. Questo è uno degli aspetti del preparatore, oltre alle conoscenze della preparazioni fisica, del match analysis. Bisogna avere queste capacità”.

Ci sono i portieri che hanno difficoltà ad apprendere?
“I portieri talentuosi hanno la capacità di risolvere spontaneamente le situazioni di gioco più difficili perché hanno un livello cognitivo molto alto. Il miglioramento di questi atleti sotto il profilo tecnico-tattico diventa un mix esplosivo perché sono macchine che vanno mandate a 300 km/h, si costruisce con gli allenamenti sul talento. Quelli con meno talento diventa un portiere costruito e basta. Il portiere più bravo è quello che semplifica tutto. Bisogna prepararsi per raggiungere questo obiettivo e lavorare sui particolari. Poi c’è il talento che fa la differenza”.

È il calcio a mettere pressione o ci sono piazze che mettono più pressioni agli atleti?
“Ci sono piazze che mettono più pressione. Quando vediamo il portiere lo analizziamo in una realtà differente. Possiamo analizzarlo da tutti i punti di vista, ma l’unica cosa che non possiamo misurare è se quel portiere riesce a reggere pressioni in un ambiente diverso. Abbiamo certezze solo se vediamo portieri che si sono affermati in piazze difficili”.

Quanto le nuove regole hanno complicato la vita dei portieri?
“Sicuramente hanno complicato la vita, a partire dal retropassaggio. Anche il fatto delle espulsioni”.

Il preparatore dei portieri è una materia a parte anche nel centro sportivo?
“Sicuramente. La prima domanda che ti fa un allenatore è: ‘È bravo con i piedi?’. Il portiere non deve essere solo bravo con i piedi, ma deve essere bravo a fare tutto, allora è un portiere completo. Poi bisogna vedere il contesto, vedere qual è il portiere ideale per il club. Ad esempio un portiere che deve giocare con Fonseca ha bisogno di determinate caratteristiche, un altro che deve giocare alla Salernitana deve averne altre ancora. È una materia differente da interpretare, che è la filosofia del club. Per questo il lavoro deve essere coordinato, deve esserci condivisione di informazioni, rispetto delle conoscenze e fiducia tra la componente dello scouting e il preparatore dei portieri”.

Lei ha avuto un rapporto straordinario con Alisson, che cos’ha di più rispetto agli altri?
“Alisson è arrivato alla Roma a 24 anni ed è stato un’intuizione del direttore Sabatini, grande persona e intenditore di calcio. Aveva grosse potenzialità e poteva avere una prospettiva importante. Non aveva fatto tante presenze. Io ricordo un errore grave in Copa America, doveva venire a Roma in ritiro. Il primo anno ha fatto 10 partite, ha fatto un lavoro di base straordinario. Aveva doti fisiche straordinarie, una forza sulle gambe mostruosa e una personalità incredibile. Oltre alla sua grande intelligenza calcistica, è molto bravo lui a far ripartire velocemente l’azione, è bravo nelle scelte. Nelle ore precedenti alla partita viveva la gara con serenità, ma nel riscaldamento gli scattava qualcosa, diventava un animale e una macchina da guerra. Regge incredibili pressioni. È un campione a 360°, è uno di quei portieri vincenti. Ha anteposto sempre gli interessi della squadra a quelli personali, ad esempio non ha giocato nel primo anno, c’era un Mondiale di mezzo e non ha mai fatto una polemica. Ha sempre aiutato il compagno, con Szczesny si stimavano a vicenda e cercavano negli allenamenti di superarsi sempre”.

Le aveva chiesto di andare con lui?
“Nel calcio a volte ci sono dinamiche ed incastri, bisogna essere anche fortunati. In quel momento non c’erano. Io ero molto contento di essere alla Roma, nella squadra della mia città”.

Cos’è successo ad Olsen a un certo punto della carriera a Roma?
“È un ragazzo straordinario, è un soldato e si è messo sempre a disposizione sotto tutti i punti di vista. Viene da un passato calcistico con una sola esperienza fuori dai paesi nordici, sei mesi in Grecia. Con la Roma ha fatto il girone d’andata molto bene con un solo errore contro il Genoa. Nel girone di ritorno ha perso un po’ di certezze, mister Ranieri non l’ha visto probabilmente tranquillo e ha fatto giocare Mirante, che ha fatto molto bene”.

Quanto può pesare per un portiere il pallone a Roma?
“Intanto aleggiano sempre i fantasmi di Alisson e Szczesny, due tra i primi cinque portieri al mondo. Pensate che ter Stegen nella prima stagione al Barcellona non ha mai giocato, poi nella terza è diventato titolare. Questo significa che a volte si danno giudizi affrettati, serve pazienza e saper gestire meglio questi ragazzi”.

Rui Patricio?
“Penso sia una scelta ricaduta su un portiere d’esperienza, con un vissuto calcistico importante. Mi è sembrato che abbia buona presenza anche in porta, ha fatto qualche piccolo errore in precampionato ma lasciatelo lavorare tranquillo. Fatelo sbagliare ogni tanto perché i portieri sbagliano. Il portiere più bravo è quello che sbaglia di meno. E non tirate subito fuori i fantasmi di Alisson e Szczesny, sostenetelo sempre. Questi ragazzi vanno sostenuti perché difendono la porta della Roma”.

È importate fare calcio o politica?
“Ho avuto un grande maestro che è Negrisolo, che mi ha insegnato che non ci sono scorciatoie, ma bisogna fare la gavetta. Io l’ho fatta. Ci sono quelli che scelgono di fare politica, io appartengo a quelli che hanno fatto la gavetta e che sono arrivati nei posti importanti attraverso un percorso”.

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