Che fine ha fatto l’Abraham dei 27 gol?

Poteva durare fino a domenica prossima, il gol non sarebbe arrivato. Quel gol che sarebbe servito a non perdere un derby conseguenza di un errore ciclopico di Ibanez (non è il primo Roger, e buttalo via quel pallone) che ci ha fatto trovare sotto senza aver subito un tiro. Paradossi, ma non troppo, scrive Piero Torri, di un calcio che in più di un’occasione si traveste da diavolo malefico. Il risultato è stata una sconfitta che lascia un amaro in bocca che chissà quando scomparirà, il terzo ko casalingo dopo quelli con Atalanta e Napoli, arrivato questa volta dopo aver sostanzialmente avuto sempre il boccino in mano. Per certi versi ci ha ricordato la sconfitta contro la squadra di Gasperini in quella, cioè, che è stata per un’ora abbondante la miglior Roma della stagione. Solo che contro l’Atalanta le occasioni per pareggiare erano state parecchie, stavolta al contrario si contano sulle dita di una mano anche se i numeri avrebbero più che legittimato un pareggio.

Per ottenerlo, riannodandoci al discorso iniziale, bisogna fare gol. E questa Roma che pure ha avuto un significativo possesso del pallone (59%), quando c’è da buttarla dentro tutto è meno che quella che vorrebbe il suo allenatore. Un tiro nei primi minuti di Abraham parato a terra, una traversa di Zaniolo (decimo legno stagionale in campionato, nessuno come i giallorossi e pure qui si potrebbe dire qualcosa) subito dopo il regalo di Ibanez, un sinistro di controbalzo di Pellegrini, una capocciata spizzata di Smalling uscita a lato nel corso di un secondo tempo in cui la Roma non è riuscita mai a centrare la porta avversaria. Segnare così è impossibile. Il problema del gol c’è, lo certificano le sedici reti realizzate in tredici partite di campionato, troppo poche per una squadra che vuole pensare e fare in grande. 

I giallorossi in qualche misura sono caduti nella trappola sarriana che ha snaturato la sua Lazio: tutti dietro, linee vicinissime, raddoppi costanti su Zaniolo, poi pressione sui portatori di palla giallorossi (ma buttatelo quel pallone e che cavolo) nella speranza di un errore. Che, puntuale, è arrivato consentendo ai discepoli sarriani di poter fare ancora meglio la partita che avevano preparato, probabilmente conseguenza anche delle assenze di Milinkovic e Immobile. Ci sarebbe stato tutto il tempo per rimettere in piedi partita e risultato, ma se si continuano fino alla noia i fraseggi a rallentatore tra i difensori. Se non si vede una sovrapposizione sulle fasce. Se non c’è nessuno in grado di arrivare sulla linea di fondo per mettere al centro un cross dignitoso (diciannove i traversoni della Roma, degno di nota solo uno del baby Volpato sulla testa di Belotti). Se si fa fatica a produrre un gioco in grado di avere idee, coraggio e altruismo. Se si passa troppe volte la palla dietro. Se non c’è nessuno che ha il coraggio di provare una giocata. Se non si dà velocità al pallone, per le difese avversarie e soprattutto per le squadre che si presentano in campo per difendersi, il compito diventa di una facilità quasi disarmante. 

Complice, però, pure la scomparsa dei nostri attaccanti. Ma che fine ha fatto l’Abraham che ci ha fatto godere nella sua prima stagione in giallorosso, ventisette reti complessive e una partecipazione commovente? Ma Belotti, quello che ha fatto innamorare la tifoseria granata, è rimasto a Torino? Ma Zaniolo perché non viene mai servito sulla velocità per poter puntare verso la porta avversaria e perchè, pure, lui non riesce a capire che qualche volta giocare semplice può essere decisivo? Perché El Shaarawy è diventato un esterno a tutto campo dopo una carriera da punta, cinquanta gol pure con la nostra maglia? Certo Dybala da qualche settimana è in tribuna, ma l’assenza dell’argentino non può spiegare tutto. Soprattutto dopo un derby perso tirando tre volte in porta. Forza Roma.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *