Roma, tutto quel mondo d’amore giallorosso

Tutto da vivere. Da cantare e da ammirare. A gole spiegate o in silenzio. L’Olimpico stracolmo replica stasera quello di domenica, non importa che si chiamino Salernitana JuventusBodo Barcellona. Inezie. Sarà uno stadio ribollente di assurda passione. Che fa ancora più “senso” per quanto discorde con il mondo di fuori. Delle emozioni negate e abbracci sospesi, di gente smarrita e oscuri presagi, di nuove solitudini ovunque e vecchi dimenticati nelle panchine, in un tempo che più non si misura, di occhi fissati nel vuoto come quelli dei condor nel deserto, dietro mascherine logorate dall’uso e dai cattivi pensieri.

Viviamola questa notte “assurda” e siamole grati. Per quanto durerà, fino a quando durerà. L’Olimpico romanista di questi tempi è la versione aggiornata di Un mondo d’amore di Gianni Morandi, 1967, mezzo secolo fa, ieri. Che stasera più che mai si chiamerà Un mondo di Roma. “C’è un grande prato verde dove nascono e rinascono speranze che si chiamano ragazzi (ma anche vecchi, donne e bambini). Quello è il grande prato della Roma, il prato dell’amore…”. E continua “Uno non tradirli mai han fede in te, due non li deludere credono in te, tre non farli piangere vivono in te, quattro non li abbandonare ti mancheranno…”. Per chiudere con “…Quando avrai le mani stanche tutto lascerai, per le cose belle ti ringrazieranno”. Messaggio esplicito che Josè Mourinho farà bene a far suo. Lo ha già fatto suo. Senza probabilmente, o forse sì, nemmeno sapere chi è Gianni Morandi.  

Si sa, ma c’è sempre bisogno di saperlo. L’Olimpico stasera, come domenica, racconta che il calcio trova la sua bellezza tutte le volte che non ha paura di mostrare il suo cuore tribale. In un caleidoscopio strampalato e pieno di senso, mi piace mettere insieme Gianni Morandi, Josè Mourinho, i tifosi della Roma e Walter Sabatini. Pezzi coerenti e non sempre consapevoli della stessa incandescenza. Come scrive Il Corriere dello Sport,G. Dotto, i tifosi della Roma sono diversi, se non vogliamo dire speciali. Hanno amato Gigi Radice e Carletto Mazzone, un padano sanguigno e un trasteverino fumantino, e amano ora un portoghese superbo. Come, forse, nessuno prima. Cosa li tiene insieme? Il furore. L’idea che siano qui di passaggio ma come se fosse per sempre. Leader illuminati di una tifoseria che preferisce l’appartenenza alla vittoria, l’orgoglio ai trofei.  

I più sapienti tra i figli della lupa lo sanno bene: da queste parti il mondo si accende nel sentire che la tua squadra e il tuo leader sono tasti della stessa vibrazione. Parte di una belva sempre accesa a difendere i suoi figli. Che si vinca o si perda. Anche quando esagera, quando sconfina nella maleducazione. Questo vuole il tifoso della Roma, se ne frega delle vittorie, che lo sappia o no. Vuole belve che schiumano dalla panchina. Mou, che illuminato è, non potrà un giorno non prendere atto che questo stadio ribollente, tra una Salernitana e un Bodo, per un quinto posto o un quarto di finale, questa è la sua vera impresa. Tre volte più di ogni Champions (che sarà bellissimo giocare), dodici volte più di una Conference League (che sarebbe comunque grandioso vincere).  

Lo sfogo di Walter Sabatini, romanista dentro per vita vissuta e vita indotta attraverso l’adoratissimo figlio, esplode per quanto ne so io e confessa la rabbia dell’innamorato che si è sentito crudelmente reciso da una pianta che sentiva sua. Non lo dicevano le sue parole. Lo dicevano i suoi occhi. 

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